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NEWS - "Rei" il Saluto nelle Arti Marziali e nel Ju-Jitsu



"Rei" il Saluto nelle Arti Marziali e nel Ju-Jitsu

"Rei" il Saluto nelle Arti Marziali e nel Ju-Jitsu
Ricerca a cura dello Shihan Giovanni Legato 6th Dan - Direttore Tecnico Nazionale Wjjc italy

Ogni nostra lezione di Ju-Jitsu, inizia e finisce sempre con il saluto cerimoniale secondo la tradizione giapponese. 
Ho sempre considerato questa cerimonia, come un momento che sancisce la completa dedizione alla nostra arte marziale, lasciando quindi il “mondo” composto anche dai nostri problemi, le nostre paure ed ansie, all'esterno del dojo.


ll Rei (in giapponese 礼) è un importante aspetto del modo di vivere orientale, è "la norma più importante della vita sociale secondo il confucianesimo"; può esser identificato con la ritualità ed in particolar modo con l'etichetta e la cortesia da cui deriva la parola reigi 礼儀 (composta dai kanji REI e GI, quest'ultimo col significato di "convenzione o obbligo sociale").

Per estensione rei ha assunto il significato di ringraziamento, saluto e - nello specifico - inchino (in giapponese keirei 敬礼). 

Il rei (saluto) è un concetto fondamentale per il Ju-Jitsu in quanto manifestazione della cortesia, del rispetto e della lealtà.

La cerimonia del saluto è semplice nella sua forma esteriore, ma molto complesso nel suo aspetto interiore; è una presa di coscienza di se stessi, dei compagni, della palestra (dojo) e dell'arte che si sta per praticare e non deve mai diventare un automatismo, un'abitudine o un obbligo imposto dal maestro. 

Il saluto non simboleggia una superficiale manifestazione di educazione, ma un lavoro completo sulla persona: la ricerca di una migliore adesione allo studio del Ju-Jitsu per seguire il cammino (Dō) .

. Il praticante, attraverso il saluto, si prepara correttamente all'allenamento, che richiede pazienza, umiltà e controllo dei propri sentimenti ed emozioni, ed è dunque un lavoro disciplinato, perpetuo e meticoloso. Questo è lo spirito del Ju-Jitsu e delle arti marziali: l'umiltà è un atteggiamento che bisogna assumere nella vita, la prima lotta che bisogna vincere è quella contro la propria presunzione.

Come viene fatto
La complessità simbolica del saluto implica, in senso posturale, l'allineamento perfetto del ventre, del busto e della testa, centri, rispettivamente, della volontà, dell'emotività e dell'intelletto.

La posizione del saluto è inizialmente verticale ed esprime la "via spirituale"; si inclina poi orizzontalmente, ad indicare la "via materiale"; tanto più è profondo l'inchino, tanto maggiore è il rispetto portato nei confronti di chi lo riceve. 
Dal punto di vista tecnico il saluto può essere collettivo o individuale, effettuato in piedi (ritsurei 立礼) o in ginocchio (zarei 座礼).

Al momento di entrare nel Dojo bisogna salutare con un inchino discreto e sincero rivolto alla "sede superiore" (kamiza 上座) e lo stesso inchino deve essere eseguito ogni volta che i praticanti si pongano di fronte o eseguano un esercizio di forma (kata).

Ritsurei - saluto in piedi
Il saluto in piedi deriva dal saluto usuale giapponese e viene eseguito unendo prima i talloni (le punte dei piedi aperte a poco meno di 45°), mantenendo il busto e la nuca ben eretti e portando le mani con le dita tese e serrate lungo le cosce; questa posizione va mantenuta fino a che lo stato d'animo si sia fatto calmo e consapevole, quindi si piega poi in avanti il busto ed infine si torna in posizione eretta.

Molti istruttori raccomandano di non piegarsi troppo in avanti, in maniera da non far vedere la nuca alle persone che si trovano davanti: questo perché, secondo l'etichetta giapponese, piegarsi fino a quel punto viene visto come un gesto di scusa e non di saluto.

Zarei 座礼 - saluto in posizione inginocchiata
Quando sta per cominciare la lezione gli allievi si allineano per grado (il grado più alto all'estrema destra) lungo la "sede inferiore" del dōjō (shimoza 下座) mentre il maestro è solito sedersi di fronte a loro nella "sede superiore" (kamiza). 

Dopo che il maestro si è seduto o dà il comando gli allievi, dal grado più alto al più basso, si siedono nella tradizionale posizione di seiza. 
Per mettersi correttamente in questa posizione bisogna prima piegare la gamba sinistra ruotando leggermente a destra col busto, quindi seguire con la gamba destra; gli alluci restano a contatto o si incrociano mentre i talloni, rivolti verso l'esterno, formano un incavo in cui ci si siede; la schiena è dritta e la testa eretta, le spalle sono rilassate e le mani sono appoggiate sulle cosce coi palmi in basso e le dita rivolte verso l'interno, le ginocchia sono aperte in modo naturale - generalmente distanziate da due pugni - e determinano la stabilità della postura. Il praticante deve tenere la colonna vertebrale diritta per potere respirare in modo corretto. 
Dalla posizione di seiza è possibile la pratica della meditazione (mokusō 黙想), seguita nel più profondo silenzio per consentire il raggiungimento dell'armonia e della concentrazione; uno degli elementi essenziali di questa cerimonia si esprime nell'immobilità fisica e nel silenzio, che permettono di spogliarsi delle proprie preoccupazioni e di farsi ricettivi agli insegnamenti impartiti dal maestro.

Sempre dalla posizione di seiza è quindi eseguibile l'inchino detto keirei 敬礼. Si esegue appoggiando sul terreno di fronte a sé prima la mano sinistra e poi la destra con i palmi in basso e le dita serrate e rivolte leggermente verso l'interno, quindi si esegue un inchino in avanti senza sollevare i fianchi dall'incavo dei calcagni.
Questa ritualità è il retaggio della casta dei samurai e, in caso di necessità, permetteva loro di sguainare agevolmente la spada anche da una posizione così svantaggiata; inoltre la «tradizione marziale narra che nessun guerriero degno di tal nome abbassava la testa al punto di perdere di vista le mani della persona che gli stava di fronte, esponendosi così ad un attacco improvviso ed imparabile».

Alla fine di ogni inchino si torna in posizione di seiza riportando sulle cosce prima la mano destra e poi la sinistra; a conclusione dell'ultimo saluto - solitamente il reciproco - il maestro si alza ed all'ordine «kiritsu 起立» è seguito dagli allievi. 

Il rei offre un'occasione di riflessione profonda ad ogni praticante circa il comportamento da tenere verso gli altri e verso la vita.
Il saluto è l'essenza del rispetto ed il rispetto è l'anima dell'arte marziale: se andasse perso, lo sarebbe anche il valore dell'arte marziale.

Osu
Nella pratica del Ju-Jitsu, il saluto è accompagnato dalla parola “oss”, che si pronuncia in questo modo ma si scrive Osu. 
Il termine osu può essere usato in circostanze differenti e assumere diversi significati che vanno dal saluto al ringraziamento, dal voler richiamare l’attenzione di qualcuno ad indicare di aver compreso la spiegazione del maestro, dall’esprimere un’approvazione al voler manifestare la propria stima verso una persona. 
Si racconta che il termine Osu è comparso per la prima volta all’inizio del ventesimo secolo negli ambienti militari. Più precisamente, veniva utilizzato dagli ufficiali della marina imperiale giapponese e con ogni probabilità veniva tradotto con l’occidentale “signor sì!” o, comunque, con un termine corrispondente. 
Solo in seguito divenne di uso comune tra gli studenti delle arti marziali che, facendo probabilmente ritorno da campagne ed addestramenti militari, introdussero questo termine nella pratica dell’arte marziale. 
Osu comunque non è un termine utilizzato nella lingua giapponese corrente. 
Vi sono diverse teorie sull’origine di questa parola. 
La prima, elaborata dal dottor Mizutani Osamu, docente universitario ed esperto linguista, afferma che osu è la contrazione dell’espressione “Ohayo Gozaimasu” che si scrive お早うございます (con anche i kanji), oppure おはようございます (tutto in hiragana), che tradotta è “buongiorno”. 
La seconda teoria, afferma che osu sia, invece, una contrazione dei termini “Ashi shinobu” che, in kanji, contengono gli stessi ideogrammi di osu e, di conseguenza, hanno il medesimo significato intrinseco. 
Il primo kanji (押), che equivale alla o, significa premere, spingere, sollevare sopra alla testa. 
Indica uno sforzo massimo, quasi insostenibile, ai limiti della sopportazione. Il secondo ideogramma, su (す), significa resistere, perseverare tenacemente, soffrire sinceramente. 

Osu, quindi, significa resistere spingendoci al limite, perseverare nello sforzo massimo, soffrire sopportando l’insopportabile.
Ancora di più implica una compiacenza di spingersi ai limiti della propria resistenza psicofisica, perseverando in qualsiasi tipo di passione. 
Questa resistenza del carattere e dello spirito viene sviluppata con un allenamento duro, esigente ed instancabile ed è conosciuta come プレスの精神 (osu no seishin), lo spirito di osu. 


L’ideogramma che rappresenta il suffiso su, inoltre, è composto da due radici che significano lama e cuore. Il significato di tutto ciò può essere espresso così: rimanere impassibili e in silenzio anche se il tuo cuore viene trafitto da una lama. 
Per quanto ci riguarda pronunciare la parola OSU è diventata di uso comune e rende manifesta la concentrazione di tutti questi valori e virtù messe insieme, ovvero la dimostrazione dell'essere pronti all'apprendimento con lo spirito tipico delle arti marziali. 

Ricerca a cura di: Shihan Giovanni Legato 6th Dan
Direttore Tecnico Nazionale
World Ju-Jitsu Corporation - Italy
website: www.wjjc.it
e-mail: segreteria@wjjc.it
Fonti: Wikipedia, mushotoku.it webmaster Davide Rizzo.



 
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